SPAGHETTI & BLUES by Gianni Franchi - intervista ai The RED WAGONS - The Red Wagons

By

dic 7, 2014 Interviste 0 Comments

wagons1
The Red Wagons di Gianni Franchi

In relazione al mio articolo “Blues a Roma”, inizio a farvi conoscere meglio una delle realtà del blues romano: i Red Wagons. Questa la formazione attuale: Marco Meucci – pianoforte e voce; Alessandro Angelucci – chitarra elettrica; Rox Marocchini – sax tenore; Mauro Massei – sax baritono; Stefano Barillà – sax contralto; Dino Gubinelli – contrabbasso; Carlo Del Carlo – batteria.
Oggi sono esponenti di punta del genere jump blues in Italia e vantano collaborazioni con i migliori nomi della scena blues internazionale. Si ispirano al blues di Louis Jordan, dei Roomful of Blues, con alcune incursioni nel Rhythm&Blues come ad esempio nelle riproposizioni di brani del mitico “The Genius” Ray Charles, da sempre uno dei miti del pianista e cantante della band Marco Meucci.
Conosco Marco (ed anche Carlo ed Alessandro) da molti anni, come lui stesso vi rivelerà nel corso dell’intervista, ma non credo di mancare di obiettività nel giudicare i Red Wagons una band dal grandissimo potenziale, divertente e coinvolgente ed in grado di competere con famose bands internazionali dello stesso genere.
Ascoltai Marco agli inizi degli anni 90 per la prima volta in un piccolissimo locale romano dove si esibiva con i Cold Shot, una band dedita al repertorio di Stevie Ray Vaughan. Marco cantò un solo brano ma quello mi basto’ per intuirne le doti .
Ora, trascorsi molti anni, con due Cd pubblicati (2004, “Ullàlla boogie”, 2012 “Jumpin’ with friends”) ed una maggiore maturità ed esperienza alle spalle raggiunta attraverso partecipazioni a Festivals e collaborazioni importanti, sentiamo cosa racconta Marco Meucci a Spaghetti & Blues.
wagons3Intervista

SB: Caro Marco, ho già anticipato che ci conosciamo da parecchi anni ma ti farò alcune domande per far conoscere anche a chi ci legge qualcosa di più sui Red Wagons. Prima di tutto puoi raccontarci come e quando nasce il gruppo?

MM: Il gruppo nasce nel 1998 da un’idea mia, di Alessandro Angelucci, Marco Corteggiani e Carlo del Carlo. Tutti e quattro facevamo parte di una band chiamata “The Hardboilers” che per quasi un decennio è stata un punto di riferimento nella capitale per quanto concerne il Chicago Blues. La formazione era capitanata da Blue Ricky Petrella e ne faceva parte anche un certo Gianni Franchi al basso… conosci???

SB: Come è nata la scelta di dedicarsi ad un genere di blues come quello che eseguite, rivolto verso il jump, il R&B più antico ed il blues della West Coast?

MM: Beh dopo alcuni anni insieme, il gruppo si sciolse e una costola del gruppo, che ho già citato in precedenza, decise di dar vita ad una nuova formazione, più versatile, che spaziasse dal blues classico allo swing e al boogie woogie con l’aggiunta di una piccola sezione fiati che inizialmente comprendeva un sax e un trombone ed un contrabbasso che come sonorità più si addiceva al genere.. Insomma una specie di “Roomful of Blues” nostrana con le dovute proporzioni. Cito i Roomful of Blues perchè in quegli anni erano uno dei nostri punti di riferimento, per la loro straordinaria capacità di riprodurre fedelmente le atmosfere delle grandi big bands degli anni 40 – 50. Dopo quasi 15 anni, il nucleo è rimasto pressappoco lo stesso con qualche cambiamento rispetto alla formazione originale.

SB: Il vostro ultimo cd “Jumpin with friends” ha avuto una storia lunga e travagliata, vuoi raccontarci qualcosa?

MM: Effettivamente è una storia lunga e travagliata. Nel 2006 decidemmo di dare il via a questo progetto. Avevamo cominciato ad accompagnare vari artisti americani e iniziammo a registrare, con ognuno di loro, uno o più brani. Mitch Woods, Junior Watson, Igor Prado, Lynwood Slim, “Sugar” Ray Norcia, “Sax” Gordon Beadle. Nel 2009 completammo le registrazioni e l’anno successivo ci dedicammo al missaggio. Nello stesso anno ci prodigammo nel cercare un produttore e con l’aiuto dell’amico Maurizio Pugno, ci mettemmo in contatto con Jerry Hall e la sua Pacific Blues. Per chi non lo conoscesse, Jerry Hall è uno storico talent-scout, produttore e ingegnere del suono della Motown, uno dei primi negli Stati Uniti a credere e a sponsorizzare musicisti e bands provenienti dall’Europa. Già produttore di moltissimi dischi (per chi conosce James Harman, Lynwood Slim, Junior Watson, etc…) Jerry accettò con entusiasmo la nostra proposta e volle produrci il disco. Fece una selezione di brani molto avveduta e ci diede il via libera. Gli spedimmo i files con i brani e la grafica per la copertina. Ci rispose che il cd sarebbe uscito a settembre del 2010. Finalmente ce l’avevamo fatta, senonchè a luglio dello stesso anno, mentre stavamo per partire per un tour in Norvegia, ricevemmo una mail da un collaboratore di Jerry Hall. Jerry era stato picchiato dal coinquilino ubriaco ed era finito in coma e da allora versa ancora in queste condizioni. Dopo lo sgomento iniziale per la notizia (sensazione che, in realtà, ancora dura), dopo vari ripensamenti, adattamenti e ricerche infruttuose di etichette discografiche, decidemmo di autoprodurlo con il titolo di “Jumpin’ with friends”..

SB: Ho raccontato della presenza nel cd di numerosi artisti internazionali, come siete entrati in contatto con loro?

MM: Il primo in ordine è stato Mitch Woods. Sono sempre stato un suo estimatore e nel 2003 ebbi l’occasione di conoscerlo dopo un concerto con tutta la sua band, i Rocket 88’s, ad Umbria Jazz. Scambiammo 4 chiacchiere insieme e gli confessai che avevo un gruppo che suonava qualche brano del suo repertorio e lo invitai a Roma, nel caso avesse voluto prolungare la sua permanenza in Italia. Non avrei mai immaginato di ricevere un paio di settimane dopo la sua telefonata. Era a Roma e mi chiese se potevamo suonare assieme. Organizzai al volo una serata e tutti noi facemmo del nostro meglio per essere all’altezza della situazione. Tuttoggi quando ci sentiamo mi racconta sempre di quella serata e di quanto fosse rimasto sorpreso di trovare una band che suonasse i suoi brani a menadito, tant’è che ci ha amichevolmente ribattezzato i suoi “Italian Rocket 88’s”.
Organizzammo con lui un paio di tour estivi negli anni successivi e fu lui a presentarci Junior Watson, Sax Gordon e Sugar Ray Norcia che erano in cartellone insieme a noi negli stessi festival.
Igor Prado fu lui a contattarmi perchè aveva scoperto i Red Wagons sul web e mi chiese se poteva avvalersi del nostro sassofonista per delle serate in Spagna in quanto il suo non poteva seguirlo. E così fu… l’anno successivo lo invitammo a suonare a Roma con noi.
Lynwood Slim l’ho conosciuto durante un tour insieme a Maurizio Pugno. Lynwood è una persona davvero disponibile. E’ un profondo conoscitore di musica, dal jazz al blues, e un grande giocatore di biliardo. Mi ricordo che quando gli dissi che mi chiamavo Meucci, rimase sorpreso dal fatto che mi chiamavo come una famosa marca di “stecche” di biliardo… e una volta tanto anche io mi stupii per non essere stato paragonato all’omonimo, e senza dubbio più celebre, inventore del telefono.

SB: Avrai sicuramente moltissimi aneddoti e racconti su questi grandi bluesman, ce ne è uno in particolare che vuoi raccontarci?

MM: Ne avrei da raccontarne, credimi, ma alcuni non credo siano pubblicabili.
Ad ognuno di loro ho rivolto un’infinità di domande sulla scena blues passata e presente.
Junior e Lynwood sono poi una fonte inesauribile di aneddoti e racconti. Ci sono stati momenti esilaranti e qualche momento di panico. Un episodio tragi-comico successe durante una serata ad un festival in Puglia con Mitch Woods. Premetto che Mitch oltre ad essere un grande pianista è parimenti un grande showman ed intrattenitore. E’ solito durante le sue esibizioni, soprattutto nel finale dello spettacolo, fare un po’ il verso a Jerry Lee Lewis arrampicandosi sullo sgabello del piano e suonando in piedi a questo. Beh quella sera lo sgabello cedette improvvisamente e Mitch, che non è proprio una silfide, crollò di peso sulla tastiera, (che peraltro era la mia…), facendo un volo che avrebbe fatto invidia al campione del mondo di tuffi dal trampolino. Per fortuna la caduta non ebbe conseguenze fisiche, e il tutto si risolse in una grossa risata, anche da parte sua che, intelligentemente, seppe sdrammatizzare immediatamente la situazione. Da allora, prima di suonare, controlla scrupolosamente la robustezza e la tenuta dello sgabello..

SB: Come è stato per te suonare con un altro pianista come Mitch Woods e quale è la cosa (se c’è) che hai maggiormente avuto modo di imparare da lui?

MM: Mitch è un grande professionista, e anche nell’episodio sopracitato che lo vide sfortunato protagonista, seppe dare un’ulteriore prova della sua grande capacità di interagire e scherzare con il pubblico.
Con lui si è creata davvero un’amicizia che va aldilà del rapporto strettamente professionale. Abbiamo gli stessi gusti musicali, e per me è stato da sempre uno dei pianisti blues, insieme a Fred Kaplan, di riferimento oltre che un raffinato cantante..

SB: Come mai non avete inserito neanche un brano originale in questo vostro ultimo lavoro?

MM: Effettivamente a differenza del nostro primo cd “Ullalla Boogie”, in questo lavoro non è presente nessun brano originale.
La verità è che non c’è stato il tempo per montarli. Tutte le registrazioni sono state fatte al volo, in periodi diversi e in studi differenti. Ogni registrazione è stata fatta al termine dei tours insieme. Il giorno prima della loro ripartenza negli Stati Uniti entravamo in sala, a volte senza sapere cosa registrare, così la maggior parte dei brani sono stati suonati decidendo la struttura 5 minuti prima di registrarli.

SB: Trovo molto riuscita la vostra collaborazione con Junior Watson tanto che il suo cd “ Live from outer space “ registrato al Festival di Torre Alfina con voi come band, ha ottenuto buonissime recensioni. Vuoi raccontarci il “mistero” di questo cd dove non apparite nei credits dell’album?

MM: Non è ben chiara neanche a me questa faccenda. Nel 2007 suonammo con Junior Watson al festival blues di Torre Alfina e l’organizzatore ci chiese l’autorizzazione a registrare un concerto per farne un cd a fini esclusivamente promozionali. La stampa sarebbe dovuta essere di un centinaio di copie da destinare a sponsor vari e a poche altre persone. A distanza di qualche anno abbiamo scoperto che qualcuno, in Francia, ha ristampato il cd e lo ha messo sul mercato senza autorizzazione alcuna da parte nostra nè da parte di Junior. Abbiamo richiesto ad Amazon di sospenderne la vendita, purtroppo senza successo. Junior ha ritenuto di pubblicare lo stesso cd a nome suo col titolo appunto di “LIVE FROM OUTER SPACE” prodotto dalla Bluebeat Music. Purtroppo anche in questa circostanza tutto è stato fatto a nostra insaputa, e la cosa più spiacevole è che non siamo menzionati come band all’interno del booklet del cd. Il perchè lo ignoro, credo sia stata una scelta del produttore, almeno questo è quello che mi ha riferito lo stesso Junior Watson e non ho motivo di non credergli. Il rammarico è maggiore per il fatto che il cd ha riscosso notevole successo di critica sulle riviste blues internazionali, tant’è che molti hanno chiesto chi fosse la band che lo accompagnava. Alla fine lo stesso Watson ha confermato sul suo sito che la band in questione siamo noi, i Red Wagons.

SB: Progetti per il futuro?

MM: Il progetto più a breve termine è la promozione dell’album “Jumpin’ with friends”, a tal proposito saremo nuovamente in tour quest’estate con Junior Watson. Stiamo già lavorando ad alcuni brani originali per la pubblicazione di un prossimo cd, speriamo non troppo lontana.

SB: Dove è possibile comprare il vostro cd?

MM: E’ disponibile su Amazon, Cd Universe, Cd Baby (qui è disponibile anche il nostro primo album “Ullalla Boogie”) etc.

SB: Ora torniamo un po’ indietro nel tempo. Vorrei sapere come ti sei innamorato di questa musica, quali sono stati i tuoi punti di riferimento musicali e com’era la scena blues romana quando hai iniziato?

MM: La mia passione per questa musica nasce da lontano. Da bambino ero affascinato dai varietà televisivi in cui Lelio Luttazzi, un grandissimo da poco scomparso, era solito cimentarsi al pianoforte in compagnia di ospiti illustri internazionali. Quella musica mi faceva impazzire, canticchiavo le sue canzoni senza capirne il significato, che ho ovviamente apprezzato più tardi. Da piccolino ricevetti in regalo 2 lp’s da mio padre. Uno era un “Greatest hits” di Nat King Cole e l’altro era un album di Ray Charles del suo periodo Atlantic. Li ho ancora anche se sono letteralmente consumati per quante volte li ho ascoltati. C’era tutto in quei dischi, blues, swing, jazz… tutto quello che amavo di più. Amo tutta la musica, ma se non ha del blues dentro non mi emoziona allo stesso modo. Adoro Ray Charles, i 3 “King” (B.B, Albert e Freddie), T-Bone Walker, Louis Jordan, e tutto quel filone blues. Allo stesso modo adoro Oscar Peterson, Dave Brubeck, Larry Carlton e Donald Fagen.

SP: Rispetto al passato, cosa trovi di diverso nella scena delle bands e dei solisti blues romani di oggi?

MM: E’ cambiato un po’ tutto… quando ero ragazzo io, negli anni 80, c’erano molte meno bands ma molti più locali dove suonare la musica dal vivo. A Roma le bands di Blues si contavano sulla punta delle dita, cito Roberto Ciotti, Harold Bradley e la Jona’s Blues Band, il grande Herbie Goins e poche altri ai quali va il mio plauso per aver contribuito a diffondere questo genere musicale. Sebbene qualche anno più tardi credo di poter affermare che anche i Red Wagons siano stati, almeno a Roma, la prima band di Jump Blues contribuendo a far conoscere al pubblico di giovani un tipo di blues fino ad allora quasi totalmente dimenticato. Col tempo si sono invertite le cose, i locali sono sempre meno e ancora meno quelli che puntano a promuovere della musica di qualità. Purtroppo l’abbrutimento culturale che ha caratterizzato il nostro Paese negli ultimi 20 anni ha coinvolto inevitabilmente anche la musica e i suoi fruitori.
Sebbene di Blues bands, oggi, ce ne siano molte di più (e la maggior parte di buon livello), purtroppo non trovano spazio per esibirsi in quanto i pochi locali di musica dal vivo rimasti concorrono ad alimentare quel fenomeno desolante delle “tribute bands” che rappresentano, a mio modesto avviso, una vera e propria involuzione dal punto di vista artistico.

SB: Ti va di raccontarci Il momento più bello e quello peggiore da quando hai iniziato a suonare il blues?

MM: Beh è facile… è legato al periodo in cui iniziai a suonare davanti ad un pubblico. Durante la mia prima esibizione dal vivo, in un locale in cui il blues non sapevano neanche cosa fosse, si levò una voce dal fondo della sala. Più che una voce somigliava più ad un urlo disperato di uno dei pochi presenti che gridò: “Bastaaaaa!!!!!”, riferendosi evidentemente alla nostra esibizione non proprio esaltante alle sue orecchie. Beh, ti garantisco che come prima uscita dal vivo non poteva andare peggio. Il bello è che volevo smettere di suonare sennonché il destino qualche mese più tardi mi portò a suonare con il mio gruppo di allora, gli Hardboilers, addirittura al Pistoia Blues festival, in una edizione memorabile dove aprimmo a B.B. King, Robert Cray, e Bo Diddley. Ecco, forse l’emozione più grande la ebbi in quella circostanza trovandomi a suonare in quello che all’epoca era il festival per eccellenza per quanto concerne il blues.

SB: Quali sono gli artisti che ammiri di più nella scena internazionale moderna?

MM: Sono talmente tanti, che non basterebbe una pagina per elencarli tutti. Diciamo che tra i cantanti e armonicisti, stravedo per Sugar Ray Norcia, adoravo William Clarke e Paul Delay, scomparsi prematuramente; tra i chitarristi Junior Watson, Kirk Fletcher, Charlie Baty, Duke Robillard, Igor Prado e Nick Curran che ci ha lasciato anche lui troppo presto purtroppo; tra i pianisti ovviamente Mitch Woods, Fred Kaplan, Gene Taylor e il grande Dr. John.

SB: Suonare questa musica nata in un paese lontano ed in un passato non più prossimo, ha ancora un senso per te oggi? Cosa significa cioè per te suonare il blues nel 2013?

MM: Ha un senso perchè il blues o lo hai o non lo hai. Io credo di averlo, me ne sono innamorato tanti anni fa, non so spiegarti neanche il motivo esatto, ma è parte di me. E’ una musica senza età e senza tempo e senza troppi fronzoli. E’ un modo di esprimere le proprie emozioni con il cuore anche con due note soltanto messe al punto giusto. No Gianni, questa musica non morirà mai, fino a che l’uomo sarà in grado ed avrà voglia di emozionarsi.

SB: Se dovessi definire la tua band in poche parole, come lo faresti?

MM: Li definirei un gruppo di amici, prima di tutto, con un’enorme passione, una passione che il tempo, le difficoltà e i tanti sacrifici, non sono riusciti ad intaccare. Dopo tanti anni i Vagoni Rossi sono sempre li, pronti a ripartire di nuovo… Prossima stazione: Il Blues!!!

Ringraziamo, in conclusione, Marco Meucci invitando al contempo i lettori di Spaghetti&Blues ad acquistare il cd dei Red Wagons, supportando così il blues italiano che ormai non ha niente da invidiare a quello degli altri paesi.

LINK ALLA PAGINA


Leave a Reply

The Red Wagons © . All Rights Reserved.
Alessandro Angelucci - cf: NGLLSN60E15H501U - Via Sestio Calvino 201
00174 Roma (RM) - alex.angelucci@libero.it

Proudly powered by kaWEBonga.com